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II CAMBIAMENTI FAUNISTICI COME CHIAVE INTERPRETATIVA DELLE VARIAZIONI CLIMATICHE

Lo studio dell’evoluzione degli ecosistemi del passato costituisce la chiave interpretativa per prevedere gli effetti dei cambiamenti climatici in atto sul nostro pianeta.
Ad esempio, l’analisi dell’evoluzione delle associazioni a grandi mammiferi del nostro territorio, nel corso degli ultimi 3 milioni di anni, dimostra come i cambiamenti del sistema climatico siano il fattore determinante nell’innesco di rinnovi faunistici, favorendo fenomeni di dispersione, migrazione ed estinzione.
Tutti questi cambiamenti, rappresentano un elemento indispensabile all’evoluzione del sistema Terra; tuttavia, dal momento che gli organismi rispondono alle variazioni del clima principalmente con migrazioni e deformazioni dell’areale di diffusione, è ragionevole supporre che nel prossimo futuro il progressivo riscaldamento del pianeta, unito alla frammentazione degli ambienti ed alla pressione sugli ecosistemi naturali operata dall’uomo, produrrà una riduzione della biodiversità, in particolare nelle aree ad alta antropizzazione e a maggior grado di endemismo.
È ormai opinione ampiamente condivisa che le variazioni nel sistema climatico attualmente in atto, agendo sulla componente abiotica degli ecosistemi, provochino nel loro insieme profonde modificazioni negli ambienti naturali, destinate a portare alla scomparsa sia di singole specie sia di interi ecosistemi.
Vari dati confermano l’impatto ecologico che il riscaldamento climatico in atto ha su un’ampia gamma di ecosistemi, da quello terrestre polare al marino tropicale, a diversi livelli gerarchici di organizzazione, dalle specie alle comunità.
Nonostante a volte, esistano contrastanti ipotesi e difficoltà di individuazione di cause, modalità ed interrelazioni tra l’evoluzione biotica ed il clima, già in questo primo stadio di accelerazione del riscaldamento globale la riposta coerente di flora e fauna è chiaramente documentata dalle modificazioni della struttura ecologica in differenti comunità.
Indagini superficiali dell’ambiente che ci circonda, o la lettura di sporadiche notizie saltuariamente riportate sui quotidiani, mettono in luce questi aspetti come un quadro di indizi che gradualmente va delineandosi. Acqua alta a Venezia, fiumi in condizioni di progressiva siccità, espansione dei deserti, migratori che raggiungono in largo anticipo le proprie mete estive, dissesti idrogeologici, regressione dei ghiacciai alpini, specie migratorie che divengono stanziali, incremento di predatori e prede, ecc., sono soltanto alcuni dei sintomi di un cambiamento floro-faunistico riflesso da un mutamento climatico in atto.
La risposta dei viventi alle variazioni climatiche è regionalmente differente, ad esempio i ricambi di specie più importanti sono innescati da cambiamenti climatici globali di grande portata che, variando durata ed intensità delle fasi glaciali/interglaciali, modificano sensibilmente il sistema climatico del pianeta.
Nella nostra pianura è tutto sommato semplice imbattersi in resti fossili di mammiferi quaternari provenienti dai sedimenti del fiume Po. Resti di animali, in particolare grandi mammiferi, ascrivibili a tre grandi periodi climatici: il periodo interglaciale Riss-Wurm, il glaciale Wurm e l’interglaciale attuale. Le faune più antiche (circa 180.000 - 120.000 anni fa), sono caratteristiche di clima temperato caldo e paragonabili alle attuali faune a grandi mammiferi della savana africana. I principali taxa rinvenuti sono l’elefante, il rinoceronte e l’ ippopotamo . A questi si accompagnano Homo sapiens e Homo neanderthalensis.
Con l’avvento della glaciazione Wurm (120.000 - 16.000 anni fa), il forte abbassamento delle temperature portò consistenti variazioni faunistiche delle quali troviamo riscontro per esempio nella maggiore frequenza di resti fossili di cervo, Megacero o cervo gigante, alce e mammut.
Al termine dell’ultima glaciazione, col ritiro dei ghiacci, molte specie si sono estinte, molte altre invece, si sono rifugiate in alta quota dove costituiscono oggi la fauna alpina, un relitto di quella glaciale (es. cervo elafo, marmotta e orso bruno).
Le consistenti variazioni faunistiche precedentemente elencate testimoniano antiche e frequenti variazioni climatiche naturali, oggi molto ben conosciute e collocate in un più ampio contesto di mutazioni globali del nostro pianeta indagate attraverso progetti scientifici polari come EPICA o ANDRILL.
Secondo questi ultimi studi oltre cinquanta tra cicli glaciali ed interglaciali hanno caratterizzato l’evoluzione del nostro pianeta plasmando flora e fauna di ogni regione climatica.
Quasi ormai all’unisono la comunità scientifica internazionale concorda nel ritenere effettiva l’esistenza di un fenomeno di riscaldamento globale in atto, la cui comprensione è legata a studi attualistici sui mutamenti dei diversi aspetti e fattori che interagiscono nell’ambiente, ma anche allo studio e all’ interpretazione di dati provenienti dal passato. Record fossili e variazioni di concentrazione di anidride carbonica nelle bolle d’aria dei ghiacci polari sono alcuni tra i più importanti ambiti di ricerca e di studio per l’estrapolazione di variazioni climatiche del passato.
Comparazioni tra il riscaldamento globale in corso e variazioni climatiche avvenute nell’antichità, mostrano senza dubbio una maggiore velocità ed intensità del fenomeno in atto, facilmente correlabile con l’intensificazione delle attività antropiche post industriali.
E allora, quali scenari ci aspettano per il futuro?
I cambiamenti indotti nelle comunità biotiche dal riscaldamento globale probabilmente non eccedono le variazioni di struttura riconosciute nelle comunità a mammiferi negli ultimi tre milioni di anni. È necessario, tuttavia, tener presente che la possibilità delle specie terrestri attuali di reagire alle variazioni ambientali indotte dal cambio climatico migrando o modificando il proprio areale di distribuzione, sono quanto mai ridotte, soprattutto nei territori a più alta antropizzazione. Per l’Europa, ad esempio, è stato calcolato che la sopravvivenza dei mammiferi endemici, più specializzati e quindi più sensibili al mutare dei parametri ambientali, sarà fortemente e negativamente condizionata dal progressivo incremento delle temperature medie. Considerando le specie a maggiore valenza ecologica, nello scenario previsto dall’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change ) scomparirebbero tra il 5 e 9% dei mammiferi europei, mentre circa 70–78% delle specie sarebbe a serio rischio di estinzione. Inoltre, si prevede che nell’area mediterranea la ricchezza e la biodiversità si ridurranno in maniera drastica, proprio per l’elevata percentuale di endemismi che caratterizzano questa regione.
In sintesi, anche se le modificazioni del clima e delle faune costituiscono un elemento costante ed indispensabile all’evoluzione del sistema Terra, durante i prossimi lustri l’accelerazione del riscaldamento globale, specie se associata alle continue e multiformi pressioni antropiche sugli ecosistemi, potrà verosimilmente produrre effetti mai prima registrati nella storia delle comunità a mammiferi, almeno in tempi così rapidi.

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